giovedì 16 maggio 2013

Una delle critiche che mi sento rivolgere più spesso è quella di essere “quadrato”. La bilancia direbbe che sono tondo, ma tant’è. L’intenzione, mai dichiarata, è totalmente dispregiativa. Essere quadrato non è una bella cosa. Non so quale forma sia positiva; se essere rotondi, triangolari o non avere nessuna forma che ci identifichi. Qui voglio togliermi la soddisfazione di elogiare l’essere quadrati. Non sto tessendo l’elogio di me, che non ne ho motivo né le basi per farlo, ma voglio fare l’apologia dell’essere quadrato, forma alla quale aspiro, ancora più di quanto tristemente e con sufficienza, mi viene rimproverato.

Cosa significa, allora, essere quadrato? Nell’intenzione dei miei critici significa, da quanto ho capito, che sono una persona troppo convinta delle mie cose, chiuso in esse, incapace e forse non volenteroso di prendere in considerazione le posizioni altrui. Un mio personale commento? Tutte scemenze. 

Ci sarebbe molto da dire e forse la necessità di riferirsi a casi singoli, cosa che non posso né voglio fare. Ci sono però una serie di cose che accomunano ogni critica, tanto da renderle stereotipate. La prima di esse è il modo in cui tale accusa, quella appunto di essere quadrato, mi viene rivolta. Essa viene gettata lì, nel mezzo di una discussione, come sentenza della Cassazione alla quale non ci si può appellare. Con una persona quadrata non si può discutere; i miei interlocutori con una persona di siffatta forma non hanno intenzione di parlare. Sospetto che il motivo sia che non hanno argomentazioni sufficienti per rispondere alle mie analisi. Ciò dimostra come il problema non siano le mie posizioni, eventualmente anche criticabili in sé, quanto l’incapacità di confrontarsi con esse e, piuttosto che arrendersi di fronte ad esse, piegare il capo di fronte all’errore in cui può incappare chiunque (anche io) o ammettere di non saper rispondere, si getta lì l’accusa apparentemente infamante, di essere, appunto, quadrato. Molto spesso quest’accusa si sposa benissimo con quella di essere ‘tradizionalista’, ‘bigotto’, ‘retrogrado’, ‘bigotto’ e tante altre che la fantasia umana riesce a concepire. È evidente come spesso questi giudizi mi piombano addosso quando si discute di argomenti religiosi. La mia è una posizione squisitamente cattolica, certa dei propri fondamenti. Da qui il mio commosso orgoglio di avere delle linee rette dietro le quali difendermi e oltre le quali non andare, conscio di non essere Dio e di avere dei limiti. Questo viene visto o come debolezza o come idiozia. La stupidità risulta invece evidente in chi i limiti non se li pone o li pone laddove sente spuntare un nuovo desiderio, una nuova voglia. 

Dal quadrato che sono non pongo me stesso al centro dell’universo né tantomeno pongo la mia limitatezza a misura delle cose. Ciò che i miei denigratori non comprendono è che la mia fissità su certe posizioni (Dio mi conceda di averla sempre più ferrea e su più cose) deriva dalla quella fede cattolica della quale ringrazio sempre troppo poco Colui che me l’ha donata. Essi (credenti e non credenti) pensano che la fede sia un’opinione, la Chiesa l’accozzaglia di esse, e che una visione chiara e definita non possa sussistere. Laddove concedono, a fatica, che una posizione chiara e definita possa (non debba) sussistere, aborrono con tutte le loro energie che essa debba essere espressa e che essa si desideri che venga da tutti riconosciuti. Essi si trovano benissimo nel cattolicesimo di oggi, mondano e non sacro, dove la verità è evitata e il dubbio e l’opinione esaltati. Se la Messa è il Sacrificio di Cristo non possono accettare che questo venga taciuto o negato. Pena la follia, dalla quale il mio essere quadrato mi salva, il principio di non contraddizione non può essere smentito. Se le unioni omosessuali non sono naturali, né tantomeno salutari, non possono tollerare che si sostenga il contrario, né gioire quando lo Stato in cui vivo si prodiga per la loro legittimazione. 

Checché si tema il contrario, non ho mai appiccato nessun fuoco sul quale far marcire chi non la pensa come me. Pena che, sono quasi convinto, molti mi vorrebbero infliggere, perché, pensano, che se ci fossero meno individui bigotti e incivili come me, il mondo sarebbe certamente un posto migliore. La loro inquietudine nasce dalla mia sicurezza, dalla decisione con cui sostengo il mio credo (anche e soprattutto con la C maiuscola) e dalla fiera commozione con cui difendo la storia della Chiesa. Storia della Chiesa che comprende Inquisizione, crociate, Galileo, eccetera. Non è questa la sede per riproporre la verità che scagiona totalmente Santa Romana Chiesa, ma capisco (anche se a fatica) che se si è stati educati a credere certe cose, diventa difficile scardinare determinati pregiudizi. Certo, la forza delle argomentazioni dovrebbe essere sufficiente, ma l’esperienza mi deve far ricredere (toh, un quadrato che si ricrede). 

Concludo con un aneddoto personale (come tutto questo articolo). Parla di un argomento che su questo blog parlo (forse non sempre nel migliore dei modi) in continuazione. Ed è la liturgia. È un aneddoto e un esempio banale, ma proprio perché banale è evidente, chiaro, significativo di come sia assurda, ridicola e vigliacca, e anche ipocrita (visto che gli si dovrebbe ritorcere contro) l’accusa che mi viene in continuazione scagliata contro. Come chi mi conosce sa e come sa chi legge questo blog, sono, come cattolico, un amante della bellezza, e come tale amo, difendo e sostengo, la liturgia tradizionale. Sì, proprio lei. La cosiddetta Messa in latino. Siamo alla fine dell’articolo, mi posso permettere queste affermazioni. I critici di cui ho parlato chiuderanno il browser e si convinceranno che sono un caso irrecuperabile, tutti gli altri (ai quali non auguro di essere così etichettati e nel caso lo fossero già stati o lo saranno, va tutto il mio sostegno e il mio invito a persistere nei propri convincimenti) saranno curiosi di terminare questa lettura. Ebbene, coloro che mi denigrano definendomi quadrato, disgustano la liturgia tradizionale e tutte le motivazioni (logiche e teologiche) che porto in sua difesa. Eppure molto spesso costoro non vi hanno mai partecipato, non sanno di cosa si tratta e non hanno nessuna intenzione di parteciparvi. Il motivo? Per loro è giusto così. Mentre il quadrato di turno, cioè io, nonostante ami, difenda e sostenga quella determinata ars celebrandi, riceve i sacramenti e assolve ai precetti festivi (mi concedo questa terminologia ormai desueta, ma non per questo falsa) nella nuova forma liturgica (non so ancora per quanto), nella quale molto spesso (anche per deprecabili arbitrii) mi sento come cattolico a disagio. Domanda: chi è allora l’incapace e forse non volenteroso di prendere in considerazione le posizioni altrui? Io o i miei critici? Io so di cosa parlo (almeno in ambito liturgico, seppur con conoscenze non troppo elevate), prendo in considerazione le critiche e le confronto con la realtà; ma che ci posso fare se esse sono ridicole, false, ideologiche e insoddisfacenti? 

Torna alla mente quel passaggio della recentissima canzone di Renato Zero, Chiedi di me, quando dice: “Chiedi di me a quei bigotti laggiù / i dubbi che seminai non li sciolsero mai / Poveri cristi, corpi deserti!”

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