mercoledì 5 giugno 2013

Qual è il tratto distintivo del nostro Dio, di Gesù Cristo? Se ne potrebbero citare molti, ma ce ne è uno in particolare che troppo spesso viene ignorato. Ignoranza che genera gravissime conseguenze: dottrinali, liturgiche, ecclesiali, pastorali, sociali. Il nostro Dio è un Dio che soffre, che ha sofferto. Certo, per amore, ma ha sofferto. Non ha rifiutato questo calice, non ha cercato la gioia. Non ha cercato nella pienezza delle cose la realizzazione della vita. La sua vita ha avuto compimento sulla croce: “tutto è compiuto” [Gv 19,30]. Eppure oggi il tratto distintivo che si associa a Gesù Cristo è quello dell’amore. Certo, quale manifestazione migliore di amore se non quella di Gesù Cristo? Dio è amore scrive san Giovanni (cfr. 1Gv 4,8). Ma l’amore mostratoci da Gesù Cristo conosce l’odio, l’umiliazione, la croce, la sofferenza, il disprezzo, i chiodi, le piaghe, la corona di spine, e per ultima, la morte. Quanti nell’odierna accezione di “Dio-amore” sono disposti a riconoscervi la sofferenza e la morte? Quanti di costoro sono disposti a educare a soffrire e a morire per l’altro? Nessuno. Le conseguenze sono tragiche, per tutti. Eppure a ben pensarci l’unicità di questo Dio è proprio questa. L’amore che Egli contempla, l’amore che Egli conosce, l’amore che Egli esercita, l’amore che Egli chiede, non si dissocia mai dalla sofferenza. Con quale autorità noi, cattolici ammodernati, togliamo questo tratto alla concezione cattolica dell’amore? Con quale autorità noi, cattolici ammodernati, svincoliamo l’amore dalla verità? Perché se è vero che non può esserci verità senza amore, è altrettanto vero che non può esserci amore senza verità. Pena considerare tutto amore, tutto legittimo, tutto possibile, anche le più becere aberrazioni. Nel Credo diciamo che Egli patì, non che egli amò. Che la sofferenza sia un carattere specifico, unico, indissolubile, dell’amore lo leggiamo anche nell’Apocalisse: “Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo” [Ap 3,19] Con buona pace di tutti i sentimentalisti odierni che disgustano ogni sorta di sofferenza. Incapaci essi di tollerarle, educano anche chi gli viene affidato che questa vita deve essere piena, perfetta, magnifica, stupenda. Senza una sana educazione alla sofferenza, alla morte, il giovane di oggi impazzisce di fronte alle prove che la vita poi gli riserva. Se non impazzisce si suicida. Che è una follia. Perché la nostra predicazione può anche prescindere e rinunciare alla sofferenza, ma la vita non vi rinuncia, e troppo sovente presenta il conto. Che il più delle volte è salatissimo. Quasi mai pensiamo di poterne portare il peso. Piuttosto che piegare il capo, farci carico del male affidatoci, gettiamo questo onere (non riconoscendo in esso un onore) e rincorriamo ogni sorta di soddisfazione terrena. Se è qui che si compie la nostra vita, perché soffrire, perché patire, perché rinunciare? Meglio godere, esasperare ogni voglia e soccombere tutto e tutti affinché queste voglie si realizzino. I Vangeli, dicono, sono la buona novella. È vero. I Vangeli sono la Buona Novella, ma parlano di croce, sofferenza, tradimenti, umiliazioni, tribolazioni, eccetera (cfr. Mt 5,10-12 e Lc 6,22-23 e Mt 10, 17-22 e Lc 21, 12-19 e Mt 24, 9.13ss e Mc 13, 9-13 e Mt 24,23ss e Mc 13, 21ss e Lc 21, 23ss). Gesù, oggi come oggi, verrebbe additato come triste, pessimista, cattivo, profeta di sventura, visto e considerato che, parlando dell’uomo, del cuore dell’uomo, non menziona cose buone: “Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo». Quando entrò in una casa lontano dalla folla, i discepoli lo interrogarono sul significato di quella parabola. E disse loro: «Siete anche voi così privi di intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può contaminarlo, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna?». Dichiarava così mondi tutti gli alimenti. Quindi soggiunse: «Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo»” [Mc 7, 14-23] E anche Egli, probabilmente, verrebbe tacciato di essere un bigotto tradizionalista, cui non bisogna dare ascolto, perchè incapace di stare al passo con i tempi.

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