venerdì 12 luglio 2013

Com’è l’amore? Spesso mi sono domandato cos’è l’amore, cosa fosse e non come fosse fatto. Ed è importante sia l’uno che l’altro aspetto. Una cosa la si conosce nella sua essenza, per quello che è realmente, ma anche per come essa appare, per come essa si mostra. Perché la cosiddetta forma, l’apparenza, quella che percepiamo con gli occhi, non è un semplice accidente, fastidio, tolto il quale vedremo e apprezzeremmo meglio ciò che amiamo. No. Gli occhi, così come ogni altra facoltà conoscitiva (razionale, emotiva o sensoriale) sono necessari per conoscere qualcuno. E per amarlo. Perché ricordiamo sempre, certa melensa predicazione ce lo ha fatto dimenticare, che l’amore si fonda sulla verità e senza di essa non c’è amore, ma un sentimentalismo che com’è venuto se ne va. Ma cosa significa che l’amore si fonda sulla verità? Che l’amore si fonda su delle certezze tipo 2+2=4? Anche. Magari quelle matematiche non centrano nulla, ma ci sono delle verità universali (tipo che la famiglia è composta da un uomo e una donna – alla metà di luglio del 2013 questo si può ancora scrivere senza finire in carcere -). Ma ci sono anche delle verità personali. Attenzione, non si tratta di relativizzare. La dittatura del relativismo non è finita il 28 febbraio alle ore 20. Anzi! È ancora più minacciosa e omicida proprio perché non c’è più qualcuno così potente da denunciarla, smascherarla e combatterla. Queste verità personali sono tutte quelle verità che riguardano la persona. La sua storia, il suo essere, la sua vita. Perché se è vero, ed è vero, che gli uomini sono tutti uguali in dignità, è altrettanto vero che sono tutti differenti, perché ognuno ha avuto una combinazione unica di educazione, storia, vita, sentimenti, fede, cognizione e sguardo sulle cose, eccetera. Queste verità, sia chiaro, non contrastano con le verità universali. Una ragazza che ha subito delle violenze da piccola, non ha né maggiori diritti né minori responsabilità, di fronte ad una sua eventuale scelta di abortire. Il crimine resta tale. Ma cosa centra tutto questo con la domanda iniziale, ovvero com’è l’amore? Centra. Perché l’amore è un abito cucito da un sarto. È su misura. Chi ama, ama una persona unica, irripetibile. L’amore che dona non è una taglia unica che cala dall’alto e la impone all’amato. Amare non significa seguire a comando degli ordini o quanto altri hanno fatto. Amare significa cucire l’abito migliore, con le migliori stoffe, il più alla moda possibile. Perché? Il migliore perché chi ama vuole sempre il meglio. Le stoffe migliori perché nell’amare si dà il meglio di quel che si ha. Il più alla moda, perché l’amore, come gli abiti, cambia non solo di fisicità (cresce, ingrassa, dimagrisce, modifica il proprio corpo), ma cambia anche di aspetto, come appare. L’amore che un giovane ha non ha la stessa forma di quello di un adulto. Perché un giovane veste in un modo l’adulto in un altro. E torno su un punto fondamentale: non si vuol relativizzare il tutto e abbandonare l’amore alle stravaganze delle idiozie. Per cucire un abito ci vogliono degli strumenti e bisogna seguire delle regole. Non si può cucire senza usare l’ago (dico tanto per dire). Così come non si può amare e tradire (questo non lo dico tanto per dire). Allo stesso modo non voglio fare dell’amore un discorso consumistico. C’è più dignità in un vestito di venti anni fa che in uno spudorato di oggi. Bisogna sempre non contraddire le verità universali. L’amore è quindi un abito su misura, che l’amato cuce di giorno in giorno. E di giorno in giorno lo dona all’amata. Ogni giorno prende le misure. Ogni giorno corregge qualche sbavatura. Ogni giorno ripara qualche strappo. Ogni giorno lo arricchisce di accessori. Ogni giorno lo guarda e lo riguarda come fosse la cosa migliore che egli abbia mai potuto fare. L’amore non è solo un nostro prodotto. La stoffa, i fili e gli aghi ce li dà Qualcun altro. Così come Qualcun altro ci dà la persona da amare. Che è la persona che dobbiamo vestire.

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