martedì 16 luglio 2013

In tema di liturgia si reputa necessaria e fondamentale la partecipazione attiva dei fedeli ad essa. Questo assunto si basa su quanto afferma la Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilim al paragrafo 14, del Concilio Vaticano II. Uno dei maggiori obiettivi che hanno animato la riforma (sicuramente nella sua realizzazione pratica) è stato proprio il tentativo di rendere possibile questa partecipazione attiva dei fedeli in contrapposizione con una (presunta) partecipazione passiva che i fedeli avevano nella cosiddetta liturgia in latino. In essa, secondo i riformatori e i loro strenui difensori, il popolo assisteva indifferente, distratto, incapace di capire, ascoltare e seguire quello che sull’altare andava compiendosi, essendo la liturgia un affare clericale. Oggi, che la liturgia, dicono gli esperti, è affare di tutti, la gente è comunque distratta e non capisce niente (a mio avviso anche meno di prima) di cosa sia la liturgia. Ma siccome il Vaticano II è un superdogma, contro il quale non si può nemmeno pensare di sollevare dubbi, i fatti non smentiscono le teorie. Le teorie rimangono intatte e sacrosante nonostante la storia e il tempo abbiano ampiamente dimostrato la loro fallacia. Siccome però il Vaticano II non è un superdogma e i luoghi comuni sono difficili a morire, riporto di seguito un’illuminante riflessione del professor Roberto De Mattei, proprio sulla ricchezza della partecipazione attiva. Leggendo si avranno piacevoli (per i cattolici sia chiaro) sorprese: “Forse il dove più grande fatto dalla riforma di Paolo VI della Messa – scrive Martin Mosebach – è questo: ora noi siamo positivamente obbligati a parlare durante la liturgia”. Mosebach fa delle giuste osservazioni sulla “partecipazione attiva” dei fedeli alla Santa Messa. Il fede può “partecipare attivamente” in molti modi diversi: può seguire le parole e i gesti del sacerdote, può adorare in silenzio il miracolo che si svolge sotto i suoi occhi, può “isolarsi” dalla comunità, rimanendo in ginocchio durante tutta la Messa, senza che per questo sia censurabile. Questa varietà di forme, sottolinea Mosebach, dimostra invece la superiorità del rito antico sul nuovo. La Tradizione cattolica ha conosciuto, infatti, molti modi di assistere al santo sacrificio: seguire l’ordinario della Santa Messa, meditare la Passione del Signore, unirsi ai canti liturgici, contemplare in silenzio il Mistero eucaristico, recitare orazioni come il Santo Rosario: tutte espressioni di quella partecipazione a cui si richiama Pio XII nella Mystici Corporis. Il Rosario, ad esempio, osserva il padre Finnegan, è la “liturgia per eccellenza dei laici” e sarebbe un grave errore deplorarne la recita durante la Messa. Quel che è certo è che la “partecipazione attiva” dei fedeli alla liturgia non può essere ridotta al rapporto tra i fedeli e il sacerdote sul piano puramente sociologico ma va intesa principalmente nel suo senso, mistico-sacrale. La riforma liturgica del 1969 venne considerata come espressione della “svolta antropologica” degli anni Sessanta e Settanta. Una svolta antropologica che pretendeva di colmare l’infinita distanza tra Dio e il mondo, spogliando un poco, se fosse possibile, Dio della sua Maestà e della sua gloria, ed elevando molto, se fosse possibile, l’uomo verso Dio. Si può e si deve discutere se questa riforma abbia rappresentato un momento di continuità o di rottura con la Tradizione precedente della Chiesa. Il fatto solo che se ne discuta, sia in ambito progressista che in ambito tradizionalista, è sufficiente a connotarla come una riforma sostanzialmente ambigua. Se la riforma liturgica avesse avuto un rapporto di inequivocabile continuità con la Tradizione precedente, il dibattito non si sarebbe aperto. Il fatto invece che, da una parte e dall’altra, si possa sottolineare l’elemento della discontinuità, rende legittimo concludere che nella riforma liturgica esistano quanto meno elementi di forte equivocità”
[R. De Mattei – “Il Summorum Pontificum come risposta al processo di secolarizzazione della società contemporanea” in AA.VV. - Il Motu proprio "Summorum Pontificum" Vol. 1]

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