lunedì 1 luglio 2013

La mensa del parola e del corpo

La Costituzione dogmatica (così si legge nel titolo) Dei verbum, sulla Divina Rivelazione, del Concilio Vaticano II, al punto 21, nella traduzione italiana, recita: “La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli.” Brevissima, ma necessaria premessa: vorrei capire se ogni asserto espresso in questa costituzione, in quanto dogmatica, lo rende ipso facto dogmatico. Se così fosse, sollevo ogni giudizio e critica e, da buon cattolico, pur non comprendendo, mi sottometto all’autorità della Chiesa. Nel dubbio, intanto, svolgo qualche riflessione. Che la Chiesa abbia sempre venerato le divine Scritture è evidente, tant’è che le ha avute così tanto in cura, da evitare il più possibile che si traducessero nelle lingue volgari. Il motivo non è, come gli eretici e cattolici adulti vogliono far credere, per soggiogare il povero popolo dei fedeli, ma perché ogni traduzione è di per sé un tradimento e ogni tradimento della Parola di Dio è un fatto serio, grave, con il quale andare più che cauti. Da secoli la Parola di Dio è tradotta in ogni lingua possibile e immaginabile, anche per l’uso liturgico che se ne fa, con la conseguenza, com’era prevedibile, che ognuno crede quel che vuol credere o l’imbonitore di turno vuole far credere. L’unità non si raggiunge con la frammentazione. Ma vabbè. Il problema, mio, della lettura della Costituzione conciliare nasce dall’equiparazione (almeno questa mi sembra che sia) che c’è tra la Parola di Dio e il Corpo di Cristo e l’associarle entrambe al concetto di mensa. Ora, senza voler offendere nessuno, credo che la presenza di Dio che c’è in un testo ispirato (nemmeno scritto) da Lui e quella che c’è nel Suo Corpo e Sangue è un tantino diversa. La prima è relativa (non nel senso di dubbia), la seconda è reale, ontologica, fisica. Usare un linguaggio poco chiaro (com’è quello definitorio) porta a generare confusione. La confusione in questi casi si chiama eresia. Chi legge un po’ di cose ecclesiali, ascolta discorsi clericali, partecipa ai divini misteri, si rende conto di come questa concezione sia ormai dominante. Tant’è, ed è normale e anche forse legittimo (che mi tocca riconoscere…), che a fura di ripetere questi concetti ci sono poi discutibili personaggi che, nei seminari del proprio movimento, costruisce tabernacoli dove pone uno accanto all’altro la Scrittura e il Corpo di Cristo. Personalmente rimarrei perplesso se la mia ragazza piuttosto che baciare e abbracciare me, baciasse e abbracciasse un articolo del mio blog. Penso che anche il buon Dio rimanga un tantino perplesso. Ma di questo non ho la conferma diretta. L’equiparazione tra Scrittura e Corpo di Cristo non ha solo generato il danno di idolatria della Scrittura, ma ha, inevitabilmente, finito per desacralizzare la Presenza Reale di Nostro Signore Gesù Cristo nell’Ostia consacrata. Va bene che il nutrimento non è solo fisico ma anche e soprattutto spirituale, ma al momento della Comunione non si distribuiscono pagine del libro di Giobbe, del Vangelo di Luca o delle lettere di san Giovanni; non si mangia la carta, ma il Corpo di Cristo. L’operazione, non so quanto voluta (ma più di qualche sospetto ce l’ho), di innalzare la Scrittura equiparandola al Corpo di Cristo ha generato, dicevo, un duplice gravissimo danno. Il primo è, appunto, l’idolatria della Scrittura, dalla quale tutto debba dipendere. Se non è scritto nella Bibbia non è vero. Vallo a spiegare ai cattolici di oggi che la fede si poggia anche e soprattutto sulla Tradizione e che (Deo gratias!) non siamo protestanti, ma, appunto, cattolici. Infatti oggi parlare di Tradizione è impossibile e se lo fai ti prendi tutto il corollario di accuse, censure e maledizioni possibili. Il secondo danno, invece, è la desacralizzazione del Corpo di Cristo. Questo, paragonato ad una pagina di un testo (seppur sacro), dalle sole mani del sacerdote è finito nelle mani di tutti; di fronte ad esso si piegavano le ginocchia e oggi pure, ma per sedersi e consumarlo come fosse una merendina o per sfogliarlo (forse) come la pagina di un giornale probabilmente per scrutare l’oroscopo. Va da sé che il crollo, poi, è consequenziale. Tout se tient. Se è vero, come è vero, quel che diceva Romano Amerio che “il problema dell’uomo è il problema dell’adorazione”, rimossa, banalizzata o resa superflua l’adorazione poi, come effetto domino, tutto è venuto giù peggio di un terremoto o di un attentato terroristico. Le chiese oggi sono orrende e dir che sono disgustose e che gridano vendetta al cospetto di Dio e degli uomini è dir poco: ma come negare che in un culto privo di adorazione certe bellezze che duemila anni di fede hanno prodotto risulterebbero improprie, inadatte. Per il culto dell’uomo, qual è il culto celebrato in molte, troppe, chiese della cattolicità, si edificano luoghi di culto per gli uomini. Edifici che esaltano le capacità (che sarebbero comunque da verificare) di chi le ha costruite e che rendono ogni gesto profano, quando il culto dovrebbe essere sacro. Va da sé che se non c’è più nessuno da adorare non c’è più nessuno da annunciare e difendere. Leggetevi i pronunciamenti di un qualsiasi vescovo (statisticamente è impossibile scovare quelli buoni) e difficilmente troverete pronunciamenti cattolici, seriamente evangelici, tesi a difendere Cristo e la Sua Meravigliosa Sposa. Va da sé che se non c’è più nessuno da annunciare e difendere non c’è nemmeno più bisogno di insegnare niente. Oggi infatti non si assiste più ad una sana educazione cattolica. Morale o dottrinale che sia. La dottrina è disprezzata come fosse escremento del peggior essere esistente e la morale, che da essa discende, è vista come una serie di psicologici sensi di colpa da rimuovere a colpi di esperienze che troppo spesso però sono peccati. Peccati che non vanno confessati perché Dioèamore e ci vuole a tutti bene e quindi si può bestemmiarlo, si può disonorarlo, si può peccare contro la sessualità, contro la ricchezza, contro il pudore, contro il prossimo, contro sé stessi, contro la vita, contro la fede, contro la verità, eccetera e le conseguenze non ci sono, semplicemente perché non esiste il peccato. Tolto il peccato, tolto il pentimento non resta niente e questo niente nasce da molto lontano, forse nemmeno troppo. Basta poco nella fede cattolica per far crollare tutto. La fede o è integra e totale o non è. Perché tolto un tassello, come la storia di tutti gli eretici riformatori dimostra, poi crolla tutto. Se oggi guardando alla Chiesa vedete delle macerie è perché qualcuno ha tolto qualcosa e qualcun altro ha benedetto questa rimozione. Se oggi guardando alla Chiesa vedete meravigliose prospettive per il futuro o avete una fede incrollabile, genuina, pura, o siete degli illusi entusiasti che con il piccone in mano pensano di costruire un mondo nuovo.

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