lunedì 12 agosto 2013

“Mettere il come prima del perché ci fa soccombe­re poco a poco al fascino del telecomando. E questo succede perfino all'interno della Chiesa. Molti pensa­no che il punto cruciale della «nuova evangelizzazio­ne» (quello che la rende davvero «nuova») consista nell’adottare le «novità», nel migliorare i metodi di comunicazione, nel padroneggiare meglio le tecno­logie più recenti. Il Vangelo in sé non funziona abbastanza: ciò che serve è il Vangelo più il multimediale, la faccia di Dio più Facebook, lo Spirito Santo più Twitter... La Buona Notizia era in attesa delle News. I nostri giorni corrono su queste rotaie. Moltiplichiamo i mezzi, ma siccome non ne conosciamo più la finalità, questi mezzi diventano dei fini. Non smettono più di perfezionarsi aumentando il nostro «potere», ma in realtà servono solo da divertissement alla perdita di ogni senso. L'agiografia di Steve Jobs e la gloria della mela addentata vanno in questa direzione insensata: non si sa più cosa sia importante comunicare e allora si comunica ormai solo sulla comunicazione. Bisogna che le persone comunichino fra loro, ecco l'imperativo, bisogna quindi che il mezzo di comunicazione sia sempre più fluido e attraente. Diventa attraente al punto da essere d'impiccio alla comunicazione stessa, e la sua fluidità, tipo acqua, fa sì che non raccogliamo più niente di solido. Il telecomando è nelle tue mani, il programma non ha importanza, puoi scegliere il ca­nale. Il multimediale è la cosa in sé e chi se ne impor­ta (frega) che esso sia il medium di qualcosa che ne valga la pena, basta che sia «multi», «cool», «fun», «iper»... Si svuota di ogni contenuto, e questo vuoto non sembra causare più nessuna angoscia, ma diventa un'occasione di divertimento: il mezzo senza il fine di­venta sempre più ludico. Così, se passate accanto a un uomo, non lo vedete neppure, tanto siete presi dallo schermo che tenete in mano. Del resto, le disavventu­re numeriche di quell’uomo, non sono forse molto più «multi», «cool», «fun» che non quell’uomo stesso, costretto com'è entro una gabbia toracica (nemmeno tele-ricaricabile)? E poi, che cosa avreste da dirvi? La conversazione è pericolosa. Tra una cosa e l'altra, rischia di ricordarvi che tra un po' dovete morire. An­che solo il guardare in faccia quel tipo, vi ricorderebbe le asperità della vita. La cosa migliore, perciò è di al­lontanarvi da lui per potervi connettere con lui su un forum o chattare o condividere un video sulle vostre bacheche, come dire: fare in modo che gli accessori della comunicazione fra voi dissimulino il nulla di ciò che viene comunicato. L’ebbrezza del contenitore. Cominciare dalla domanda sul come ci intrappo­la nel rifiuto del che cosa e del perché. Cerchiamo di capire come parlare di Dio in un secolo hi-tech, ma così questo secolo ha vinto fin dall’inizio, ed è lui che, impercettibilmente, ci ha convertiti.” [F. Hadjadj – Come parlare di Dio oggi?]

Chissà se queste parole le leggerà mai chi di dovere. Non solo i tanti fan entusiastici delle nuove tecnologie a priori, ma anche i tanti sacerdoti e vescovi che vedono nelle nuove tecnologie la panacea di tutti i mali, la soluzione allo svuotamento delle chiese. Costoro non si rendono conto che le chiese sono vuote perché chi le custodisce vi ha rimosso Colui che vi dovrebbe abitare e perché non sono più in grado di dire una parola nuova, vera, diversa, rispetto alle inutilità e porcherie che il mondo quotidianamente propala. L’annuncio cristiano si è omologato al mondo e, inevitabilmente, tra due discorsi falsi e vuoti, la gente preferisce quelli mondani, almeno hanno l’apparente possibilità di appagare qualche istinto e desiderio. Ovviamente i nostri amati preti, invece che ritornare a predicare il Vangelo, si ostinano ad adattarlo ad ogni sorta di aspetto mondano, cercando di renderlo il più commestibile possibile, inconsci del fatto che così lo tradiscono. Ed è quanto accade ogni giorno con le nuove tecnologie. Esse non sono un male in sé, ma hanno un potere impressionante che dovrebbe essere gestito e si dovrebbe educare ad usarlo. Invece si lanciano e si lasciano i giovani nelle grinfie dei nuovi media, gaudenti che nelle loro bocche ci siano le parole “Chiesa”, “Cristo”, “amore”, “pace e bene” e soddisfatti di averli evangelizzati. L’evangelizzazione però non è questo. Se la si riduce a creare l’account Twitter del Papa o a moltiplicare i siti internet dei già troppo numerosi dicasteri vaticani, essa fallisce. Perché è vero che bisogna essere coscienti dei nuovi mezzi di comunicazione, ma bisogna altrettanto essere coscienti che l’uomo di oggi non è tanto diverso dall’uomo di cento anni fa. Le sue esigenze umane, spirituali, sono le stesse. Saranno cambiate quelle materiali. Cento anni fa nessuno aveva come obiettivo quello di avere un iphone, così come vent’anni fa nessuno poneva il senso della propria vita su quanti follower avesse su Twitter o quanti amici su Facebook. L’evangelizzazione così intesa sostituisce l’essere umano, l’uomo, la persona, con il suo account, il suo avatar. E se è vero che dietro ad ogni account e ad ogni avatar c’è pur sempre un uomo, è altrettanto vero che lo schermo, il medium, il mezzo che separa il predicatore dall’ascoltatore, non sempre permette una sana comunicazione. Non tutti gli strumenti permettono lo stesso tipo di comunicazione e di trasmissione. Perché l’evangelizzazione è trasmissione di qualcosa che si è ricevuto. La fede non l’abbiamo ricevuta per mail o per sms e non si può trasmettere per whatsapp o skype. E questo non è per demonizzare i moderni mezzi di comunicazione, ma per ricordare che l’essere umano è carne, non è byte. L’uomo non è composto da 0 e da 1, ma da un corpo e da un’anima. E di quest’ultima i nostri amati sacerdoti, e coloro che si occupano di evangelizzazione, dovrebbero interessarsi. L’anima non la si soddisfa con un tablet, un pc o uno smartphone. L’evangelizzazione deve essere nuova, perché deve essercene un’altra, aderente a questa generazione, che si deve confrontare con i social network e tutto ciò che ci gira intorno. Ma l’evangelizzazione non deve essere nuova nel senso di essere un altro tipo di evangelizzazione. La novità è un male che ha colpito la Chiesa. Tutto ciò che è nuovo è buono solo perché non è vecchio. L’idiozia di tale concezione è evidente, ma probabilmente non lo è così tanto se in molti, troppi, ci sono caduti. Fateci caso, ogni volta che si vuole presentare qualcosa lo si annuncia come nuovo. L’uomo però non ha bisogno di novità. Il Vangelo è novità se paragonato al mondo, ma se il Vangelo lo omologano al mondo, esso perde la sua novità trascendente. L’uomo ha bisogno di certezze, di risposte alle sue ansie, alle sue domande. Che non sono solo quelle relative al lavoro e a come arrivare alla fine del mese. Sono anche, e soprattutto, quelle inerenti a come arrivare alla fine dei propri giorni.

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