lunedì 19 agosto 2013

Neanche l’amore rende felici.

Neanche l’amore rende felici. Perché amando non sempre si è corrisposti, perché per una serie incalcolabile di ragioni, amare non sempre corrisponde ad essere amati da chi si ama. E per chi ama cosa c’è di più terribile che non essere amato dall’amata?
Ma l’amore conosce, contempla, la sofferenza. Ne è un elemento costitutivo. Una rosa senza spine, aldilà di tutta la retorica che un esempio del genere comporta, sarebbe sempre una rosa? Un uomo senza difetti, senza peccati, sarebbe sempre un uomo? Nella moderna concezione dell’amore, troppo spesso avallata anche da un eretica concezione della fede (che ignora la verità), esso è vero solo se privo di sofferenze. Il vero amore è quello che fa battere il cuore, quello dei film dove i problemi si risolvono, mai si sopportano. Il dolore, la sofferenza, il dubbio, la difficoltà, o vengono risolte o vanno rimosse. Non potendole sempre risolvere e non potendole rimuovere, si rimuove il portatore di tali croci. Alla ricerca di un uomo (o una donna) che abbia meno difetti. L’amore non è questo. Andrè Frossard scriveva che “Non c’è uomo senza peccato, ma non c’è peccato senza uomo. […] Il peccato si perdona, o si ripete, e chi saprebbe meglio di Te, o mio Dio, che esso esiste per questo? Ma la sua abolizione per decreto filosofico è un enorme attentato contro l’umanità, e la falsa coscienza che ci procura ci fa passare in coda agli esseri creati, che invece non mentono.” [L’arte di credere]
L’amore non conosce ‘se’. Non contempla frasi tipo ‘Se tu fossi stato…’. O ‘Se tu avessi fatto…’ o ancora ‘Se io non…’ eccetera. L’amore conosce una sola strada: quella ordinaria del tu che si ha davanti e si ama e quella della volontà di amarlo per quello che è nella quotidianità dei giorni. E nell’amore esercitato nella ripetizione dei giorni c’è un anticipo di eternità.
Ma l’amore va oltre anche il rifiuto e l’eventuale disprezzo. Perché la più grande forma d’amore che io conosca è quella di un Dio si è incarnato, ha patito ed è morto. Per amore.
Il Dio cattolico è certamente un Dio d’amore, ma non di quell’amore sdolcinato, melenso e falso in cui noi crediamo. È un amore che non può essere separato dalla croce. Dio quelli che ama li castiga (cfr. Ap 3,19). Dio chiede ad Abramo di sacrificare suo figlio, quel figlio che tanto aveva desiderato e che lo stesso Dio gli aveva donato. Così come con Giobbe. Dio sembra accanirsi con i suoi diletti. Il modo in cui Dio tratta Abramo, Giobbe, il Suo Figlio Gesù, tutto farebbe pensare tranne che all’amore. E noi, che vogliamo essere suoi figli, possiamo solo accettarlo. O, stoltamente, rifiutarlo. E capire che quello è l’amore vero, non le nostre astrazioni, non le nostre preferenze, le nostre aspirazioni di benessere, di completamento. L’amore non completa, non appaga, toglie, perché amare non è sempre dare. A volte è anche togliere. Un padre prima o poi, toglierà le rotelle alla bicicletta della figlia. Poi lei crescendo sceglierà altri mezzi di locomozione e forse non tornerà mai alla bicicletta (anche senza rotelle). Ma il padre l’avrà amata. Perché amare non è un semplice sentimento, che va e viene, si infiamma e svanisce, ma comprende come elemento costitutivo qualcosa di più: la volontà. “Si vede che l’innamoramento è bello, ma forse non sempre perpetuo, così come è il sentimento: non rimane per sempre. Quindi, si vede che il passaggio dall’innamoramento al fidanzamento e poi al matrimonio esige diverse decisioni, esperienze interiori. Come ho detto, è bello questo sentimento dell’amore, ma deve essere purificato, deve andare in un cammino di discernimento, cioè devono entrare anche la ragione e la volontà; devono unirsi ragione, sentimento e volontà. Nel Rito del Matrimonio, la Chiesa non dice: «Sei innamorato?», ma «Vuoi», «Sei deciso». Cioè: l’innamoramento deve divenire vero amore coinvolgendo la volontà e la ragione in un cammino, che è quello del fidanzamento, di purificazione, di più grande profondità, così che realmente tutto l’uomo, con tutte le sue capacità, con il discernimento della ragione, la forza di volontà, dice: «Sì, questa è la mia vita». Io penso spesso alle nozze di Cana. Il primo vino è bellissimo: è l’innamoramento. Ma non dura fino alla fine: deve venire un secondo vino, cioè deve fermentare e crescere, maturare. Un amore definitivo che diventi realmente «secondo vino» è più bello, migliore del primo vino. E questo dobbiamo cercare.” [Benedetto XVI, 2 giugno 2012]

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