giovedì 21 novembre 2013

Sul Commonitorio di san Vincenzo di Lerino bisognerà tornare, essendo l’opera che quel santo del V secolo scrisse per rispondere ad una questione che è, purtroppo, oggi tornata dominante: esiste un criterio sicuro, in qualche modo universale e normativo, per poter distinguere la verità della fede cattolica dalla falsità dell’eresia (come recita il retro di copertina dell’edizione Borla del 1994)? La risposta san Vincenzo di Lerino la trova e la formula, ma ne parleremo nella seconda parte. Sfogliando le pagine di questo testo sono rimasto piacevolmente sorpreso dal commento che san Vincenzo fa di un passo della lettera di san Paolo ai Galati. Precisamente il seguente: “Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!” [Gal 1,8] Da questa breve frase si possono fare molteplici riflessioni. La prima è come questo tipo di linguaggio, chiaro, definitivo, definitorio, quindi dogmatico, sia stato abbandonato dalla Chiesa. Leggersi il meraviglioso e commovente Il domani – terribile o radioso? – del Dogma di Enrico Maria Radaelli per capire la porta di questo cambio (mai accaduto nella storia) di scelta di linguaggio scelta da Giovanni XXIII indicendo il Concilio Vaticano II, da detto Concilio perseguita e dai Sommi Pontefici successivi mai abbandonata. Per ora ci basta ricordare quanto Radaelli nota: “Il linguaggio dogmatico è e resta il chiodo cui è appeso il futuro, il destino della Chiesa. E la potente legge dell’amore che esso esprime, è e resta il suo unico e aurico martello” [E. M. Radaelli - Il domani – terribile o radioso? – del Dogma] Tornando al “nostro” san Vincenzo di Lerino, egli, commentando questo passo, scrive: “Non ha detto: se qualcuno vi predicherà un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia benedetto, lodato, accolto, ma sia anatema, cioè separato, allontanato, escluso, affinché il contagio mortale di una sola pecora non si estenda, con la sua presenza velenosa, a tutto l’innocente gregge di Cristo.” Qualcuno, anche giustamente, mi rimprovererà: dov’è la sorpresa, dove sta l’interesse da doverci addirittura scrivere una riflessione sul blog? La sorpresa sta che per leggere cose e ovvie e sacrosante bisogna ricorrere a un santo del V secolo, visto che oggi latita il buon senso, per non dire proprio che latita la fede cattolica. Parole del genere oggi risuonerebbero anacronistiche, dure, poco ecumeniche, non conformi allo spirito (e forse nemmeno alla lettera) del Concilio Vaticano II (dal quale sicuramente è nata una chiesa scismatica; il punto è capire se quella ufficiale è ancora ancorata al Dogma cattolico). La Chiesa oggi predica di dialogare con il mondo, di ascoltare le verità che esso ha da proporci (cfr. Guadium et Spes, 44), ma non è il mondo che può dare la verità; la Chiesa la possiede tutta la verità, non per Suoi meriti, ma perché Essa è la Sposa di Colui che è Via, Verità e Vita (cfr. Gv 14,6) Quindi, come nota sanamente e santamente san Vincenzo di Lerino, qualsiasi cosa che non è la Dottrina della Chiesa, non va non solo non accolta, ma va rifiutata e rigettata. Non bisogna dialogare con l’errore, come oggi si fa, istituendo cattedre, convegni e quant’altro. L’errore non porta nulla alla verità, ma la corrode. Ed è infatti il cataclisma cui oggi assistiamo: che la verità non la si conosce più e per impararla si ricorre da chi non ce l’ha e, quel che è peggio, chi ce l’ha decide di non professarla.

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