martedì 9 aprile 2013

Che differenza c’è, se c’è, tra un servo e uno schiavo? Sono la stessa cosa? Oppure no? Perché spesso si parla di servire il prossimo, di farsi suo servo, di servizio, e mi pare che spesso si uso il sostantivo ‘servo’ anche per indicare pratiche da schiavi. La differenza, quindi, credo sia sostanziale. L’etimologia delle parole (cfr. etimo.it) propone un interessante aiuto (che non vuole essere esclusivo e definitivo). Lo schiavo è, ovviamente, colui che perde la libertà. Il servo no. Il termine servo, inoltre, pare derivi da ‘servare’; da qui conservare, serbare, custodire. Interessante per una società, anche ecclesiale, che non vuole custodire niente, ma che si gloria di innovarsi di giorno in giorno anche a costo di tradire e rinnegare sé stessa. Entrando nel merito della questione dovrebbe far riflettere che il servo dà cosa serve; lo schiavo dà ciò che il suo padrone vuole. Lo schiavo sa dire solo sì, il servo deve essere capace anche di dire no, altrimenti diventa uno schiavo. Servire, che è una forma di amore, è dare ciò di cui l’altro ha bisogno. Ma non nell’accezione consumistica ed eretica (per valutare sacro e mondano insieme) cui oggi siamo abituati ad avere. Oggi troppo spesso confondiamo i bisogni con i diritti. Le voglie con le necessità. Quindi siccome io voglio una cosa e la reputo necessaria, mi deve essere riconosciuta e chi me la fornisce mi sta prestando un servizio. Così, tanto per fare esempi, se io non voglio soffrire e reputo la malattia inutile, voglio morire, l’eutanasia (o l’aborto) è un diritto e ci deve essere qualcuno che me lo fornisce. Così nel sacro. I miei fedeli non amano inginocchiarsi perché lo reputano poco moderno, elimino gli inginocchiatoi e mi invento norme che legittimino questo comportamento. Non capiscono quel che si dice? Educarli sarebbe dargli un servizio vero, li rendo schiavi dandogli ciò che credono di avere bisogno. Tanti politici e ideologi, così come tanti ecclesiastici, per mangiare un porco hanno venduto le perle affidate loro. Da servi, custodi, di un tesoro, un compito, affidato loro, si sono convertiti in schiavi dell’ideologia dominante, del potente di turno. Non sanno più dire no, da degni schiavi, e traducono tutto in una ridicola ideologia del sì. Mediocri yesman credono che strizzando l’occhio alle mode dominanti coinvolgono più persone. Coinvolgere qualcuno le coinvolge pure, ma le inserisce in quel circolo vizioso di schiavitù nel quale sono prigionieri loro stessi. L’unica via d’uscita è spezzare queste catene, interrompere questo circolo, ma ci vuole coraggio, ci vogliono parecchi ‘no’ da dire e imporre ai tanti falsi ‘sì’ per decenni proclamati come dogmi di una società (con la complicità di una certa chiesa) incapace di crescere ma che sta vagando moribonda in attesa della morte.