lunedì 13 gennaio 2014

Riporto questo estratto di Enrico Maria Radaelli, tratto dalla sua monografia su Romano Amerio (Romano Amerio. Della verità e dell’amore) che ottimamente confronta le due dottrine, quella tradizionale e quella ecumenista, sull’atteggiamento che la Chiesa deve avere nei confronti del mondo. Da cinquant’anni è stato imposto il diktat dell’apertura, dell’aggiornamento, della fratellanza, della pace, fiducia, rispetto, onore, sostegno e benedizione del mondo (cfr Allocuzione Paolo VI, 7 dicembre 1965). Stento a trovare buoni frutti in questi atteggiamenti. Quando si prova a domandarne conto le risposte latitano e ci si nasconde dietro a un dito di un dogma che dogma non è che e che se fosse tale meriterebbe comunque una spiegazione logica, perché il Dogma vero, quello cattolico, non è irrazionale, non è imposizione arbitraria di un assurdo. Ripropongo questo estratto, che è del 2005, ma che ancora oggi è attuale ed essenziale. Perché è di queste parole di fuoco, di verità, di amore, ciò di cui oggi abbiamo disperato bisogno.

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I due modi per conquistare il mondo a Cristo
Nelle due dottrine, l’ecumenista e la tradizionale, si pongono due opposte “politiche spirituali di annessione del mondo”, se così si può dire, alla Chiesa.
L’una, pervadente tutta la cristianità da poco più di sei lustri, mirerebbe ad annettere i pagani alla Chiesa (con grande ritrosia, peraltro, sul proselitismo da compiere, per non dire di una sua proclamata e ufficiale rinuncia di proselitismo)', in ogni caso, però, annettendoli così come sono: non solo con le loro culture e le loro conce­zioni e usanze, il che è capacità già strettamente peculiare al cattolicesimo; ma anche con le loro religioni, tutte dichiarate oggi dalla Chiesa, e massimamente dal Papa, religioni rispettabili, nemmeno più “pagane”, ma piuttosto intrise di elementi salvifici per se stesse e in quanto religioni. Siamo ancora al punto dell’identità l0. Questa strada vuole stabilire nella Chiesa cattolica, nella voce potente e apparentemente ascoltata del Papa, una superimparzialità, un prestigio e un punto di riferi­mento mondiali, universali.
Tuttavia questa strada passa attraverso il molto ambiguo “spirito d’Assisi”, l’ecumenico e annuale ammassamento di tutte le religioni nel Pan theòn della città di san Fran­cesco, dove si glorifica la dignità dell’uomo secondo una deviata veduta immanentistica. Nello “spirito d’Assisi” l’uomo sarebbe capace di esprimere la propria naturale bontà con qualsiasi idea religiosa, e anche {persino!) irreligiosa, come nel caso molto ambiguo del buddhismo.
E il Papato? Il Papato costituirebbe giusto l’autorità che assisiaticamente protegge, afferma e difende come nessun’altra quest’idea magna glorieggiante l’uomo, questa sua dignità per cui «/ ’uomo si rivela gigante», come ebbe a dire Paolo VI. Il Papato si farebbe allora tutore dell’uomo in tutta la molteplicità delle sue innu­merevoli strade: della sua civiltà in tutto l’assortimento orbeterracqueo, della sua storia nella molteplicità dei suoi atti, del suo progresso poi, indirizzato teilhardianamente al Verbo incarnato, al Cristo, «compimento dell’anelito» e «unico e definitivo approdo» di ogni ricerca religiosa 11. Il cardinale Carlo Maria Martini è esplicito: questo è il vero primato del Papa.
Ma Iota unum, come abbiamo visto, discute e critica l’idea di Chiesa esorbitante da sé insita nell’idea ecumenista, idea per cui due enti pugnanti quali “mondo” e “Chiesa” verrebbero invece a sovrapporsi in un comune sistema di valori - pace, uguaglianza, carità, libertà, ragione, fraternità - dei quali si è persa la trascendenza d’origine (e la verità della specificità cattolica che ne deriva), in un comune sentire tutto mondano.
Allora ecco l’altra politica, quella enunciata nei secoli da tutta la Chiesa e ora tenuta unicamente da qualche incorreggibile tradizionista come Amerio. La Chiesa, secondo quest’altra concezione, cerca certa­mente di incamerare tutti i popoli nell’unico Regno, ma solo attraverso la tradizionale via educativa alla Verità, come alludemmo al nostro § 3, con il già accennato riconoscimento che la Verità non è e non può essere umana - giacché piuttosto, in un certo modo, tutto ciò che è solo umano potrebbe oscurarne e confonderne la purezza -, e con l’altro riconoscimento: che la Verità, per quanto infinita, è rivelabile da se stessa, storica­mente, solo in un certo modo, in un certo luogo, in un certo tempo, in un certo Individuo. E questo Individuo è esclusivo. E questo Individuo (contro Teilhard, De Lubac e i tanti loro odierni discepoli) è escludente: «Ecco egli è posto [...] quale segno di contraddizione» (Luc., II, 34).
Questa strada è tutta contraria all’altra per due ragioni. Primo: nel metodo, perché fondata su sicura umiltà e non su mondana e vana gloria. Secondo: nella premessa, data la quale la verità, prima di essere stori­camente conoscibile, è eterna, e va perseguita nella vita terrena, a costo della vita terrena. Questa è la strada eroica per cui la persona umana, nella sua intelligenza, si piega a qualcosa di più alto di sé, all’Intelletto divino, compiendo quel sommo sacrificio, propedeutico anche al sacrificio estremo della vita, per il quale l’uomo piega la sua volontà avendo prima piegato il proprio intelletto l2.
A questa teologia consegue una “visione politica” di conquista delle anime fatta solo attraverso la conversio­ne: cioè l’umiliazione, il sacrificio, la perdita di sé, l’in­tima correzione, l’abbandono delle primitive opinioni personali: tutte cose perseguibili unicamente con il supporto soprannaturale della grazia e, di contro, sùbito escludenti ogni relazione con qualsivoglia credenza religiosa - monoteista o altro - che non sia l’unica rive­lata da Dio in Gesù Cristo, suo unico Verbo.
Questa, per dirla in termini semplici, è la strada della santità: strada, come già rilevò Amerio, «forma e principio dei fattori di divisione nel mondo» 13. Su tale strada è da sempre incamminata la Chiesa. Tale strada, se il Cristo suo capo è la via, e se capo e Corpo mistico sono, come sono, un tutt’uno, è la stessa Chiesa.
Il mondo, viceversa, ne segue altre. Così anche le credenze religiose. Queste altre strade comode, sorri­denti, pacifiche, “umane”, sono insicure, sono infide, sono anche cattive. Quando Amerio sottolinea che la divisione dal mondo si ha a causa della santità, sotto- linea (§ 56) la prospettiva evangelica per la quale il Cristo, il Verbo dottrinale, non è stato accolto dal mondo, ma rifiutato: la sua santità non è accoglibile dal mondo in quanto mondo. Né allora, né oggi, né mai.
Considerato tutto questo, è chiaro che solo la seconda è, oltre che cattolica, una visione vincente, perché la prima che abbiamo visto è concezione che fa forza su un prestigio papale appoggiato a verità di passaggio: la reli­giosità dei popoli, la dignità umana, l’autocoscienza dell'uomo. Tutte verità, queste, analoghe al punto finale cui aspirano: il Cristo Omega di invenzione teilhardiana evocato in Tertio Millennio adveniente. Il prestigio papale, lì, si universalizza nella speranza di condurre tutta l’uma­nità, così com’è, col suo supposto carico di intrinseco «anelito religioso», a quell’ «unico e definitivo approdo» costituito, come lì insegnato, dal Cristo stesso.
Così come è trasognante questa generale palingenesi, generata da un Cristo spogliato del più semplice dei princìpi dell’essere, lo «spavento della contraddizione», così anche è vana la fabbrica, che ora vedremo più da presso, di una Chiesa coincidente al mondo, e sobbarcantesi il mondo, anch’essa defraudata del più specifico principio della Fede: della sua sovrannaturalità, o santità, data dalla Trinità. La Trinità è la sua decisiva e imprescin­dibile differenza. (Ma, riconoscendo per esempio un Dio anche nei due monoteismi secchi, dov’è la differenza?).
La fede cristiana non nasce da altre “fedi”. Non è approdo del loro “naturale” sviluppo (come pericolosa­mente affermato anche dalla Tertio Millennio discussa in Stat verìtas). Nasce piuttosto dalla loro abrogazione, dal loro rigetto: liberato dalle idolatrie, l’uomo può così far posto alla Grazia, alla conversione, alla Religione.

10 Nemmeno il Documento Dominus Iesus ha corretto le correzioni conciliari sulla Dottrina tenuta da sempre, perché vuole restare ancorato alle indistinzioni sui documenti conci­liari rilevate a suo tempo da Iota unum (v. c. XXXV: L'ecu­menismo). Anche le dichiarazioni più recenti del Santo Padre (Giovanni Paolo II) restano al di qua della linea di demarca­zione tradizionale. Dire «// riconoscimento dello specifico patrimonio religioso di una società richiede il riconoscimento dei simboli che lo qualificano» (Discorso alla Conferenza sul dialogo interreligioso tenuta a Roma il 31 ottobre 2003), significa solo stabilire che ogni insieme religioso avrebbe diritto al riconoscimento dei propri simboli, senza dire che vi sono patrimoni religiosi veri e altri falsi. Questa concezione è avallata dall’indistinzione delle religioni in una generale religiosità. Forse bisognerebbe compiere invece tre distin­zioni. La prima sarebbe sull’origine della religione; la seconda sull’origine della verità; la terza quella che separa le religioni dalla religiosità dei singoli uomini, che è tutt’altro.

11
Giovanni paolo il, Tertio Millennio adveniente, 11 novembre 1994, § 6, pag. 11.

12
R. amerio, Stat veritas..., cit., chiosa 4111, pag. 23.


13
Ibidem, chiosa 38, pag. 102. Da qui la contrarietà di Amerio per il tomismo semiliberale di Maritain in Umanesimo integrale.

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