sabato 13 settembre 2014

Forma Ordinaria del Rito Romano

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
[Gv 3,13-17]

Forma Straordinaria del Rito Romano

Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». E gli disse: «Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!».
[Lc 17, 11-19]


La croce. Dove tutto sembra finire e dove tutto può iniziare. Il Crocifisso è “scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” [1Cor 1,23] Quanto ci scandalizziamo anche noi della croce e di Colui che sopra di essa è morto? Quanto anche per noi essa è stoltezza, che non è stata la scelta migliore, ma pura follia? Noi proviamo spesso vergogna della croce. Delle nostre croci, considerandole una colpa o un motivo per abbandonare la fede, se non addirittura un impedimento, un ostacolo, alla nostra gioia, alla nostra realizzazione, alla nostra felicità; e delle croci del mondo, considerate il fallimento di Dio e non la Sua più alta glorificazione. Gesù nella croce rende gloria a Dio. Tutto ciò che accade nella nostra vita deve essere un inno di lode al Padreterno. Noi, invece, come i nove lebbrosi del Vangelo, viviamo la fede solo come un palliativo delle nostre sofferenze, come una cura miracolosa dei nostri mali. Il nostro rapporto con Dio è quello di un mago, di un santone e di un consumatore. Non capiamo, invece, che i nostri piani non sono quelli di Dio. E che quello che ci è richiesto è credere in Dio, fidarsi di Lui. Poi tutto il resto viene dopo. Nella gioia o nel dolore, nella salute o nella malattia, credere in Dio. CrederGli e renderGli culto solo quando ne abbiamo bisogno, non è un rapporto padre e figlio, ma un rapporto produttore e consumatore. Dio non elargisce prodotti (le guarigioni, le profezie, eccetera) che noi acquistiamo con una quantità di preghiere. Dio è Padre ed è in questa paternità che dobbiamo credere. Un Padre che ama e si offre in Olocausto per la nostra salvezza. Questa è la nostra fede. E se siamo ai piedi di questa croce, come Maria e Giovanni, anche nella desolazione, nella tribolazione e nella solitudine, non siamo abbandonati.

Quando pensiamo di aver perso tutto, di essere inutili, guardiamo alla Croce. i nostri occhi troveranno conforto e se anche la nostra ragione non troverà una risposta, il nostro cuore troverà un po’ di ristoro. Perché quello di cui abbiamo bisogno non è le risposte del perché il mondo va così e perché accadono determinate cose, ma che nonostante il mondo vada in questo modo e accadono determinate cose, c’è qualcuno di più forte che da esse ci salva.

Nessun commento:

Posta un commento