giovedì 11 settembre 2014

“Le comunicazioni di massa hanno il bisogno costante di innalzare i toni, di provocare meraviglia in spettatori abituati al susseguirsi delle notizie e pronti ad abbandonarle con uguale velocità. Paradossalmente, l’incidenza sull’agire quotidiano dei missionari e dei maestri di catechismo era più totalizzante del messaggio mediatico, che si trova in perenne concorrenza con altre forme di condizionamento. La condivisione dei contenuti si esplica, infatti, in modi differenti: i giovani del Giubileo, per esempio, hanno aderito in gran numero all’impegno verso gli altri che riempie i vuoti lasciati dall’etica laica, ma hanno negato in moltissimi le prescrizioni che ritengono estranee alla propria cultura.”
[R. Librandi - La lingua della Chiesa in P. Trifone, Lingua e identità]

Sarebbe da prendere seriamente in considerazione se non fosse che farlo significherebbe rimettersi in discussione e mettere in discussione tutto l’apparato di tweet, social vari, il papato come una popstar qualsiasi e un’educazione alla fede fatta di effetti speciali.
Come in tutte le ideologie, si danno per scontati e assodati alcuni principi (dogmi) e su quelli si costruisce il castello di sabbia. Il punto è che quei principi sono falsi, smentiti clamorosamente dalla realtà; rinnegarli costa sacrificio, perché significa ammettere di aver sbagliato. Realismo che latita nel nostro amato clero. Con il paradosso che i Dogmi veri vengono ignorati o, al massimo, usati come orpelli delle suddette ideologie.
Il sistema informatico, digitale, tecnologico, mediatico, ecc. con il quale dobbiamo per forza di cose confrontarci, ha come suo elemento costitutivo l’immediatezza, la velocità, l’innalzamento di toni. Lo stordimento. Cose che contrastano evidentemente con un’educazione religiosa. Ora, si potrebbe scegliere di rifiutare tali mezzi di comunicazione e correre il rischio di essere rinchiusi in una riserva indiana dalla quale parli parli, ma nessuno ti ascolta. Si potrebbe altresì – come si sta facendo – scegliere di sposare in toto questi mezzi comunicativi (vedi, tra l’altro, il profilo Twitter ufficiale del Papa), con il risultato, che nessuno dice, che la fede è stata svuotata dall’interno. Apparentemente molti si professano cattolici, tantissimi condividono le parole del Papa o del prete in voga, ma quanti poi vivono quelle parole e quanto la fede cattolica prevede e prescrive, è qualcosa che esula dalle nostre competenze, ma che è facile prevedere e constatare. Sondaggi (anche vaticani) mostrano sempre più il distacco che esiste tra la dottrina della Chiesa, ciò che la Chiesa crede e predica e ciò che i fedeli credono. Non tanto ciò che i fedeli fanno - le debolezze umane sono all’ordine del giorno - quanto proprio ciò che i fedeli credono. I temi etici sul matrimonio, aborto, sessualità, fine vita; i temi dottrinali sulla natura dei sacramenti, sulla natura della Chiesa, sui principali dogmi della fede, sono ignorati o, peggio, se conosciuti, tranquillamente disattesi. La soluzione perseguita dal clero è a dir poco umiliante: cambiamo i dogmi, la natura dei sacramenti e l’insegnamento sui temi etici, uniformandoli a ciò che i sondaggi ci dicono essere di gradimento delle persone. Così il colpo di magia è realizzato. C’è solo un piccolo problema, oltre a quello della viltà intellettuale, ed è quello che i dogmi, la natura dei sacramenti e l’insegnamento della Chiesa non si possono cambiare. Se si cambiano non si è più cattolici, quello non è più l’insegnamento della Chiesa, con tutto quel che ne consegue.
Fino a qualche anno fa – e in alcune realtà arare e seminare è ancora possibile – i cattolici avevano una grande possibilità: il catechismo per i bambini. Quello è l’unico momento certo in cui quei bimbi e ragazzi metteranno piede in una chiesa cattolica. Dopo, per apostasia o per mediocrità, non è assicurato che continuino. Non solo non è assicurato che non mettano più piede in una chiesa (se non, magari, per qualche funerale seguendo la funzione religiosa tra una sigaretta e una chiacchiera con il vicino), ma non è altrettanto garantito che seguano l’insegnamento della Chiesa. Quanti saranno, quindi, i cattolici? Già oggi, come detto sopra, nominalmente il numero è ancora alto ma (senza voler fare la cerchia degli eletti) quanti sono quelli che davvero ci credono e, con pazienza e perseveranza e tutti i propri limiti, vivono da cattolici? Nella mia limitata esperienza direi pochi. Se poi guardo fuori dal mio recinto la realtà è ancora più drammatica.
Il punto centrale è che l’educazione alla fede coinvolge due persone: l’educatore e l’educato. Che sono, come detto, due persone. Non due profili twitter o facebook. Due persone che si parlano e si ascoltano, dove una si prende cura dell’altra, prendendola per mano e accompagnandola nelle dinamiche della vita, belle e brutte che saranno. È un rapporto tra due individui, non tra due avatar. Questa banale costatazione è ignorata e disattesa. È più facile rivolgersi a una massa di bit, piuttosto che a uno o dieci ragazzi in carne ed ossa. Ma sono quella carne e quelle ossa a essere oggetto dei sacramenti. Sono quella carne e quelle ossa a essere oggetto della resurrezione. I sacramenti (a meno di folli idiozie clericali) sono per il corpo e per l’anima, non per i profili social.
Questa è una moderna forma, magari anche marginale, di gnosi, di rifiuto cioè della carne, della corporalità di una persona. I tratti di questa degenerazione sono profondi e gravi, che nemmeno ce ne rendiamo conto.

Ma è dalla persona che bisogna ripartire. Dalla persona che crede e insegna alla persona che ascolta, cresce e impara. In un rapporto fatto di corpi, di lacrime, insulti, carezze, giochi, parole e silenzi, sguardi e percorsi. Un rapporto fatto di vita, quella che ci è stata donata, non quella che disperatamente tentiamo di costruirci sui social.

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