venerdì 5 settembre 2014

“Non siamo dei giudici che decidono chi si deve comunicare e chi no”. Questo è quanto scrive padre Pepe di Paola, come riportato nell’articolo di Matteo Matzuzzi sul Foglio di oggi 05/09/2014. E padre Pepe non è un prete tra tanti, ma uno che conosce benissimo Papa Francesco. Sono tanti quelli che dicono di conoscere il Papa e poi gli addossano cose che non sono vere. Staremo a vedere. Il punto comunque rimane. Quello espresso da padre Pepe resta il pensiero di molti e la cosa stancante è il solito schema con cui vengono proposti certi argomenti. I cattivi sono tutti gli altri e i buoni sono solo loro. Loro che, a prescindere dalla validità o meno delle loro argomentazioni, sono dei disobbedienti. “Quando ci troviamo davanti alle persone che convivono senza essere sposate in chiesa non alziamo barricate, neppure nel caso dei sacramenti e della comunione”. Aldilà del fatto che ‘comunione’ è scritta sempre in minuscolo, è interessante notare che c’è un insegnamento dottrinale e disciplinare della Chiesa che costoro disattendono beatamente perché hanno reciso il vincolo dell’obbedienza e si ergono a giudici infallibili di cosa è giusto e cosa non lo sia. Il problema non si situa solo a livello teorico, di discussione, di supporto a una decisione che poi Santa Madre Chiesa – con i suoi tempi – prenderà; no, si pone la Chiesa di fronte al fatto compiuto e poi Essa – un po’ anche per la perdita di autorità degli ultimi decenni – non interviene, ma sopporta, prova a mediare e a trovare soluzioni diplomatiche. Intanto il danno è fatto e di male minore in male minore il deposito della fede viene eroso e di cattolico rimane ben poco.
Il problema è sempre quello. C’è una dottrina della Chiesa? Sì, c’è. So che chiamarla dottrina fa inorridire i pastori e i loro laici solidali che, compiendo mistificazioni su mistificazioni, fanno passare per cattivi e rozzi, chi pretende e auspica che la dottrina abbia il suo posto e che non venga detronizzata da un assurdo concetto di misericordia. Perché chi crede, chi crede nella Verità, nella Verità esposta dalla dottrina cattolica, non è uno che non si sporca le mani, che se ne sta assiso sulle cattedre a insegnare e bacchettare chi sbaglia. Anzi è l’esatto contrario, solo che mediaticamente ormai è sdoganato che i “dottrinalisti” sono brutti, sporchi e cattivi e i “misericordisti” sono belli, solari, profumati e buonissimi. Come tutte le distinzioni anche questa è falsa e chi la usa probabilmente ha i suoi interessi a non entrare nel cuore del problema, a fare delle etichette la sua ragione di vita, e ad assegnare quelle negative a chi non la pensa come lui per silenziarlo e impedirgli di sostenere un dialogo. Sì, proprio loro, che del dialogo hanno fatto un dogma, pardon, un assoluto.
Il problema, dicevamo, è sempre quello. C’è una dottrina della Chiesa? La Chiesa cosa crede in merito al Matrimonio, alla Confessione, all’Eucarestia, al divorzio, eccetera? C’è una dottrina e poi un’applicazione disciplinare che può, nei limiti, mutare. Oggi invece si pretende che questi limiti non ci siano e laddove ci fossero chi deve cambiare non è chi propugna certe ideologie, ma la dottrina della Chiesa. Solo che cambiare la dottrina della Chiesa in campo dogmatico oltre che impossibile ha un nome ben preciso: eresia. Con tutta la gravità di quello che ciò significa.
Padre Pepe prosegue notando una cosa vera e intelligente, ma lo fa ai suoi fini strumentali: “Sappiamo anche che la maggioranza dei matrimoni sono invalidi, perché la gente si è sposata immatura, senza avere la piena coscienza di ciò che faceva e del valore del sacramento che aveva chiesto. E su questo punto, grande responsabilità hanno i preti e i vescovi. Criticano noi perché diamo la comunione a quelli che convivono, poi ammettono al sacramento del matrimonio coppie non credenti, che si sposano in chiesa tanto per avere una cerimonia come si deve, una bella basilica piena di fiori, così le fotografie vengono meglio”. E la colpa, guarda caso, è sempre di voi preti. Vi costa così tanta fatica e virilità non ammettere al Matrimonio chi non è maturo e in grado di sposarsi? Vi rendete conto che avete applicato al Sacramento del Matrimonio quello stesso criterio che ora volete applicare al Sacramento dell’Eucarestia e che sostenete questa tesi proprio portando i risultati disastrosi dell’applicazione della stessa tesi sul Sacramento del Matrimonio? È assurdo. Oltre che criminale. Non è perché siete senza attributi e fate ognuno di testa vostra disubbidendo alle leggi della Chiesa, allora bisogna cambiare la Chiesa adattandola ai vostri disastri. Abbiate la maturità e il coraggio – ecco: la santità – di fare, anche a costo del martirio del disprezzo, ciò che la Chiesa comanda e prescrive. Non pretendete che la Chiesa prescriva ciò che non vi costa fatica e martirio. Perché tutto ciò che non costa martirio, oltre che non cattolico, è qualcosa che tradisce la vostra identità di preti, così come quella di ogni battezzato.

Se il vostro fine è la pace, la quiete, il politicamente corretto, avete sbagliato vocazione. O forse l’avete azzeccata, ma non per servire – come comanda Gesù Cristo – ma per farvi servire.

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