Se si ironizza sugli ebrei si
viene accusati di negazionismo e crimini contro l’umanità
Se si ironizza sui musulmani si
viene accusati di idiozia perché si provocano i bombaroli e i tagliatori di
teste.
Se si ironizza sui cristiani,
meglio sui cattolici, tutto va bene. Anzi, riceverete un plauso alla libertà di
pensiero.
Riprendendo una celebre frase
del marchese Onofrio Del Grillo (alias Alberto Sordi) nel film Il Marchese del Grillo, “Sai qual è la differenza tra me e te? Se tu
parli male di me e del Papa io ci rido. Se io parlo male di te e del tuo
Napoleone tu ti incazzi.” Che è quello che accade oggi. Se si parla male
del Papa (non di quello attuale, ovviamente) e dei cattolici tutto va bene. Se
si parla male degli idoli come Napoleone o delle credenze religiose altrui,
tutti si incazzano. E c’è chi si incazza massacrando gente e chi si incazza
mettendo bavagli tipo le leggi contro l’omofobia, dove si spaccia per omofobia
il credere e sostenere che il matrimonio è solo e unicamente tra uomo e donna e
che i figli devono avere un padre e una madre e non un genitore 1, 2 e 3.
L’altra differenza è che le
vignette di Charlie Hebdo non sono satira, ma disgustose offese a ciò che ogni
uomo ha di più intimo: il proprio credo. Perché la religione non è un qualcosa
di accessorio, ma qualcosa di fondamentale nella vita dell’uomo. Solo secoli di
laicismo come quello europeo ci hanno portato a credere che di Dio si può
parlar male così come si parla delle squadre di calcio (anche se per queste si
prova a legiferare in qualche modo). Perché le ironie sul Papa ci possono anche
stare, ci mancherebbe, ma le offese alla Santissima Trinità, alla Beata Vergine
Maria e al Santissimo Sacramento assolutamente no. Il problema però non è la
religione, come in molti oggi facilmente sostengono, bensì l’idea che di
religione. La differenza è che noi cattolici non andiamo nelle redazione ad
ammazzare certi blasfemi; ma è altrettanto certi che noi cattolici – che da
tempo abbiamo calato le braghe – permettiamo che la nostra fede venga vilipesa
in tutti i modi possibili. Ed è questo il grande problema di ogni forma di
dialogo e integrazione. Che cosa abbiamo da dire a chi è diverso da noi?
Niente. Tutto quello che abbiamo delle nostre tradizioni e della nostra
cultura, religiosa e sociale, viene annientato nel momento stesso in cui
dovrebbe essere non solo difeso, ma anche solo annunciato. L’Europa è diventata
terra di conquista non per la forza del conquistatore, ma perché gli europei
l’hanno abbandonata. E l’hanno abbandonata non fisicamente, ma culturalmente e
intellettualmente, rendendosi subalterni ad ogni diversità. Il fallimento
dell’integrazione sta proprio qui: nella crisi identitaria che attanaglia
l’Europa. Non si tratta, come ci insegnano gli attentati di ogni epoca, di
imporre la propria cultura e il proprio credo, ma di saperlo difendere e
vivere. Perché noi predichiamo tanto la libertà, la fraternità e l’uguaglianza,
ma siamo i primi, tra di noi, a non praticarla. Siamo gusci vuoti di parole
vuote, facilmente attaccabili e distruttibili dall’esterno, ma anche e
soprattutto dall’interno. Ed è quello che sta accadendo.
C’è chi auspica – lo ascoltavo
stamattina per radio – che l’Europa si doti di un esercito forte, tecnologico e
specializzato, proprio per difendere l’Europa e quello che l’Europa significa
(o dovrebbe significare). Domanda banale: perché poi vi stracciate le vesti e
fate i benpensanti (oltre che gli ignoranti) di fronte alle crociate?
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