venerdì 9 gennaio 2015


Se si ironizza sugli ebrei si viene accusati di negazionismo e crimini contro l’umanità
Se si ironizza sui musulmani si viene accusati di idiozia perché si provocano i bombaroli e i tagliatori di teste.
Se si ironizza sui cristiani, meglio sui cattolici, tutto va bene. Anzi, riceverete un plauso alla libertà di pensiero.

Riprendendo una celebre frase del marchese Onofrio Del Grillo (alias Alberto Sordi) nel film Il Marchese del Grillo, “Sai qual è la differenza tra me e te? Se tu parli male di me e del Papa io ci rido. Se io parlo male di te e del tuo Napoleone tu ti incazzi.” Che è quello che accade oggi. Se si parla male del Papa (non di quello attuale, ovviamente) e dei cattolici tutto va bene. Se si parla male degli idoli come Napoleone o delle credenze religiose altrui, tutti si incazzano. E c’è chi si incazza massacrando gente e chi si incazza mettendo bavagli tipo le leggi contro l’omofobia, dove si spaccia per omofobia il credere e sostenere che il matrimonio è solo e unicamente tra uomo e donna e che i figli devono avere un padre e una madre e non un genitore 1, 2 e 3.
L’altra differenza è che le vignette di Charlie Hebdo non sono satira, ma disgustose offese a ciò che ogni uomo ha di più intimo: il proprio credo. Perché la religione non è un qualcosa di accessorio, ma qualcosa di fondamentale nella vita dell’uomo. Solo secoli di laicismo come quello europeo ci hanno portato a credere che di Dio si può parlar male così come si parla delle squadre di calcio (anche se per queste si prova a legiferare in qualche modo). Perché le ironie sul Papa ci possono anche stare, ci mancherebbe, ma le offese alla Santissima Trinità, alla Beata Vergine Maria e al Santissimo Sacramento assolutamente no. Il problema però non è la religione, come in molti oggi facilmente sostengono, bensì l’idea che di religione. La differenza è che noi cattolici non andiamo nelle redazione ad ammazzare certi blasfemi; ma è altrettanto certi che noi cattolici – che da tempo abbiamo calato le braghe – permettiamo che la nostra fede venga vilipesa in tutti i modi possibili. Ed è questo il grande problema di ogni forma di dialogo e integrazione. Che cosa abbiamo da dire a chi è diverso da noi? Niente. Tutto quello che abbiamo delle nostre tradizioni e della nostra cultura, religiosa e sociale, viene annientato nel momento stesso in cui dovrebbe essere non solo difeso, ma anche solo annunciato. L’Europa è diventata terra di conquista non per la forza del conquistatore, ma perché gli europei l’hanno abbandonata. E l’hanno abbandonata non fisicamente, ma culturalmente e intellettualmente, rendendosi subalterni ad ogni diversità. Il fallimento dell’integrazione sta proprio qui: nella crisi identitaria che attanaglia l’Europa. Non si tratta, come ci insegnano gli attentati di ogni epoca, di imporre la propria cultura e il proprio credo, ma di saperlo difendere e vivere. Perché noi predichiamo tanto la libertà, la fraternità e l’uguaglianza, ma siamo i primi, tra di noi, a non praticarla. Siamo gusci vuoti di parole vuote, facilmente attaccabili e distruttibili dall’esterno, ma anche e soprattutto dall’interno. Ed è quello che sta accadendo.

C’è chi auspica – lo ascoltavo stamattina per radio – che l’Europa si doti di un esercito forte, tecnologico e specializzato, proprio per difendere l’Europa e quello che l’Europa significa (o dovrebbe significare). Domanda banale: perché poi vi stracciate le vesti e fate i benpensanti (oltre che gli ignoranti) di fronte alle crociate?

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